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quarta-feira, 13 de junho de 2012

FOTOGRAFIA E SEUS CONCEITOS



FOTOGRAFIA E SEUS CONCEITOS
Mais um ótimo conteúdo sobre o assunto.


Mettiamo il caso voi foste dei novizi in fatto di fotografia e vi trovaste di fronte ai simboli che vedete nella foto qui a sinitra…geroglifici vero? Per non parlare poi di parolacce come esposizione, iso, stop, diaframmi aperture e via discorrendo.
Con questo post intendo darvi qualche dritta cercando di non essere prolisso con esempi immagini ed anche una bellissima applet alla fine del post con la quel potrete esercitarvi su quanto appreso. Iniziamo?

Il Triangolo dell’esposizione

Prima di andare avanti e cercare di spiagare i modi di funzionamento della vostra macchina fotografica è doveroso fare una chiacchierata su quello che viene chiamato il triangolo dell’esposizione ovvero la combinazione di tre fattori, apertura del diaframma, sensibilità iso e velocità dell’otturatore. Tutto questo per capire poi come la macchina governa questi parametri attraverso l’uso dei modi operativi.
Ognuno di questi tre elementi del triangolo si riferisce alla luce e al modo in cui entra e interagisce con la fotocamera (sensore o pellicola) e abbiamo detto che sono:
1. ISO - la misura della sensibilità alla luce del sensore/pellicola.
2. APERTURA – la dimensione dell’apertura del diaframma all’interno dell’obiettivo al momento dello scatto della foto
3. VELOCITA’ DELL’OTTURATORE – il tempo durante il quale l’otturatore della macchina rimane aperto (date una letta a questo vecchio articolo da cui ho ripreso alcune parti)
Dall’intersezione di questi elementi si ricava quella che è definita l’esposizione di un’immagine.
Tenete sempre presente che cambiando uno di questi tre elementi influenzerà anche gli altri, dal momento che sono strettamente dipendenti l’uno dall’altro. Quindi quando si regola ognuno di essi, bisognerà inevitabilmente adeguare gli altri due cosi da compensare l’esposizione e riportarla al valore “corretto” (o meglio a quello voluto).

Velocità dell’otturatore

Solitamente è quello dei tre componenti del triangolo che viene frainteso. La velocità dell’otturatore non è altro che il tempo nel quale la tendina che nasconde il sensore, che poi non è una ma son due le tendine da aprire e chiedere, rimane aperto e permette alla luce di raggiungere il sensore o la pellicola.
Esistono vari tipi di otturatori ma quello che ora è più usato è quello a tendina (qui sotto) e quindi spesse volte si usa il termine di tendina come sinonimo di otturatore.
le-tendine-quando-si-scatta
Nella seconda immagine qui sotto mostra le tendine in azione a velocita (e tempi) diversi, da uno più lento ad uno più veloce.
fastshutteranimation
n.b.: le due animazioni qui sopra sono state prese da Digital Photographic School che ringraziamo per la pazienza e generosità.
Tornando a noi, più a lungo l’otturatore resta aperta e maggiore sarà il tempo in cui il sensore/pellicola sarà esposto alla luce. Questo significa, come potete dedurre dalle suddette animazioni, che ad un tempo minore (o veloce) di apertura corrisponde una minore quantità di luce che passerà al sensore/pellicola.
Se userete un tempo molto veloce, ad esempio 1/1000 di secondo,  il sensore rimarrà esposto alla luce per pochissimo tempo e di conseguenza congelerete l’azione.

Nikon D80, Esposizione 1/750 sec, Apertura f/5,6, ISO 800 con focale 300mm
Viceversa utilizzando un tempo lungo, ad esempio 1/2 o addirittura un secondo, lascerete l’otturatore aperto per un sacco di tempo e per un sacco di tempo la pellicola/sensore rimarrà esposto alla luce. Quando fotograferete con tempi cosi lunghi gli oggetti in movimento appariranno “mossi”.

Nikon D80, Esposizione 1/10 sec, Apertura f/22, ISO 200 con focale 18mm
Per concludere sull’otturatore, vi consiglio di andare a dare un’occhiata a questa bellissima animazione su Jeffrey Friedl’s Blog (passate il mouse sopra l’immagine), in cui si vede benissimo come funziona il tutto su una Nikon D3. Spettacolare non trovate?
Scrissi un post sul mosso creativo, lo potete trvare qui: Motion blur o se preferite mosso Creativo.

Apertura


Il movimento delle lamelle da luogo a quel "fenomeno" detto apertura

via HowStuffWorks.com
All’interno di ogni obiettivo ci sono delle lamelle che sembrano delle “pale”. Queste lamelle aprendosi e chiudendosi danno luogo a quella che comunemente viene chiamata l’apertura, ovviamente anch’essa contribuisce all’esposizione controllando la quantità di luce che passa attraverso la lente e che arriva al sensore/pellicola.
Queste lamelle del diaframma possono essere chiuse un po per consentire a meno luce di entrare  o aperte un po di più per consentire ad una maggiore quantità di luce di passare. Ogni obiettivo, però, ha dei limiti di apertura, e vedrete che quelli con maggiore apertura (f 1.4 o f 2.8 ad esempio) sono molto più costosi di quelli con aperture più alte.
L’apertura è anche responsabile della profondità di campo ovvero la zona o porzione di immagine che risulta correttamente a fuoco.

via HowStuffWorks.com
Immaginate una persona in piedi di fronte a una libreria. Se si utilizza un diaframma aperto come f/2, il volto della persona sarà messo a fuoco mentre la libreria risulterà sfuocata. Questo “fenomeno” si chiama profondità di campo (depth of field). Al contrario, se si utilizza un diaframma chiuso, come f/16, sia la libreria che il viso della persona saranno a fuoco.
Un’altra cosa influenzata dell’apertura o meno del diaframma e la nitidezza delle immagini ottenute. Ogni obiettivo lavora al massimo dei dettagli ad una determinata apertura di diaframma. Solitamente le migliori performance si ottengono 1 o 2 stop in meno rispetto alla maggior apertura concessa dalla lente. Ad esempio se con un obiettivo 18-55mm f/3.5-5.6 scatti alla lunghezza di 55mm, l’apertura migliore per catturare più dettagli va da f/8 a f/11.
Per approfondire la questione nitidezza potete fare riferimento a questo “vecchio” post: Come ottenere il massimo dettaglio nelle proprie foto.
L’immagine sottostante è stata ripresa con un obiettivo 105mm macro a f2.8 e come vedete la profondità di campo è davvero minima!

Nikon D300, Esposizione 1/500 sec, Apertura f/2.8, ISO 200 con focale 105mm (macro)

Nikon D300, Esposizione 1/400 sec, Apertura f/10, ISO 200 con focale 11mm

ISO

Con il termine ISO si intende la sensibilità complessiva dell’elemento sensibile, sia esso sensore digitale o pellicola, alla luce.
In particolare nella fotografia chimica (pellicola) ISO è l’indice utilizzato per determinare la sensibilità dell’emulsione utilizzata. I valori più comunemente impiegati sono: 50, 100, 125, 160, 200, 400, 800, 1000 e 1600. Quanto più questo numero è basso, tanto meno la pellicola è sensibile (veloce) e le dimensioni dei grani di alogenuro d’argento che la compongono risultano fini. Aumentando le dimensioni dei cristalli fotosensibili, incrementiamo la “capacità ricettiva” della pellicola, la rendiamo più sensibile alla luce ma, ahimè, accresciamo di conseguenza la sua “granulosità” e la perdita di dettaglio che questa cosa comporta.
Nel digitale i grandi d’argento sono stati sostituiti dai fotodiodi e la rumorosità data dalla grandezza dei grani stessi con il cosi detto rumore digitale. Ma andiamo per ordine.
Avrete sentito dire centinaio di volte credo che nella fotografia digitale l’indice ISO misura la sensibilità del sensore. Bene è una gran cazzata.
Il sensore delle nostre reflex digitali, molto sommariamente, è fatto da tutta una serie di fotodiodi (sensibili alla luce) che si caricano a seconda della quantità di radiazione luminosa che li colpisce. Questo valore (analogico) viene poi convertito in digitale da un apposito convertitore analogico/digitale il quale trasforma appunto la tensione risultante in un numero, di solito di 12 o 14 “cifre” (bit). Il trucco è quello di rendersi conto che la sensibilità/efficienza del sensore o dei vari fotodiodi non cambia quando si modifica il numero ISO. Quello che cambia è la quantità di amplificazione che il convertitore A/D applicherà.
Andate a leggere il mio vecchio post ISO base e minor rumore da dove questa citazione è presa.
Come dicevamo nel digitale il rumore esiste ancora e come nella fotografia chimica aumenta con l’aumentare del valore iso. Fortuna che ci sono molti modi per limitarne l’effetto ed altri per introdurlo artificialmente qual’ora lo si ritenesse una soluzione “artisticamente” valida.

Immagine con e senza rumore
Potreste leggere:

Aumento gli ISO o uso il flash?

E’ una domanda che mi è stata posta più di qualche volta e la risposta è tutt’altro che semplice e prevederebbe anche una lunga discussione sugli illuminatori, non fatemi sentire “con il flash le foto sono brutte” che v’accoppo!
Ci sono molte cose da considerare per decidere se in una fotografia è meglio aumentare gli ISO o utilizzare il flash m vi faccio un esempio. Il flash, per potente che sia, non può andare oltre una certa distanza per cui, ad esempio, è inutile usarlo per per fotografare paesaggi o oggetti più lontani di alcuni metri.
In quei casi, parliamo di paesaggi, l’ideale è non usare il flash, tenere gli ISO bassi, aumentare il tempo di esposizione e mettere la macchina su un bel cavalletto (o muretto e qualsiasi cosa ferma e stabile). Se invece state fotografando a mano libera senza cavalletto e c’è abbastanza luce per usare tempi abbastanza veloci (evitando il mosso) mosso aumentate gli ISO che tanto il flash non vi può aiutare.

Potreste leggere:

Il concetto di “Stop”


Ogni volta che si è spostata la ghiera dei tempi o quella dei diaframmi si sarà notato un invito meccanico a fermarsi in quella posizione, una sorta di piccolo scatto: chiamiamolo uno stop. Quando si passa da f/11 a f/8 si dice che si è aperto di uno stop, mentre da f/8 a f/11 si chiude di uno stop. Lo stesso per i tempi, da 1/125 a 1/60 si allunga di uno stop e da 1/125 a 1/250 si accorcia di uno stop, ma tra i fotografi è invalso l’ uso di dire “aprire” e “chiudere” anche riferendosi ai tempi di scatto. In pratica, per mantenere costante il valore di esposizione (EV), mentre si chiude di uno stop da una parte, dall’ altra si apre di uno, o viceversa. Gli stop raddoppiano o dimezzano il valore: 1/125 è la metà di 1/60 ed il doppio di 1/250. Diaframma f/8 fa passare il doppio della luce di f/11 e la metà di f/5,6.

L’esposizione per metafora

Questo paragrafo e relative metafore sono state scopiazzate ed adattate da quanto letto qui. Vediamo se con alcune metafore riusciamo meglio a capire il concetto di esposizione.
La finestra.
Immaginate che la vostra macchina digitale sia come una finestra con le imposte che si aprono e si chiudono. L’apertura del diaframma corrisponde alla dimensione della finestra: più è grande la finestra e maggiore sarà la quantità di luce che entra
La velocità dell’otturatore corrisponde al tempo in cui le imposte delle finestre rimangono aperte; più le lasciate aperte e più luce entra.
Ora immaginate di essere all’interno della stanza e di indossare occhiali da sole. In quel momento i vostri occhi diventano meno sensibili alla luce, e questo in pratica corrisponde alla sensibilità ISO.
Ci sono quindi vari modi per incrementare la luce all’interno della stanza ( o la vostra percezione della stessa): potete aumentare il tempo in cui tenete aperte le imposte della finestra, aumentare la dimensione della finestra o togliervi gli occhiali da sole.
Abbronzarsi al sole
Un altro esempio che può aiutare a capire il concetto dell’esposizione è quello di paragonarlo all’azione di prendere il sole.
Non tutti i tipi di pelle sono uguali: alcuni sono più scuri e tendono ad abbronzarsi più facilmente, mentre altri, più chiari, tendono a bruciarsi con poche ore di sole. Ecco, diciamo che la pelle può essere paragonata alla sensibilità iso impostata sulla una macchinetta, la sensibilità con cui questa reagisce alla luce solare.
La velocita dell’otturatore in questo esempio, è come il tempo che passate ad abbronzarvi sotto al sole. Più tempo passate sotto ai raggi solari, e maggiore è la possibilità di abbronzarsi (col rischio però di rialzarsi bruciati, o meglio “sovraesposti”)
L’apertura è come la crema protettiva che applicate alla vostra pelle. Le creme protettive bloccano i raggi solari a diversi gradi di schermatura, che possono essere ricondotti alla dimensione dell’apertura del diaframma: protezione totale significa apertura minima mentre protezione zero significa apertura totale.
Per capire come i tre elementi si combinano fra di loro ci basta immaginare che una persona di pelle sensibile dovrà applicare una protezione totale, allungando perciò il tempo di esposizione al sole; se invece utilizziamo una protezione molto bassa avremo bisogno di un minor tempo di esposizione al sole.

Conclusioni

Per toccare con mano quello di cui stiamo parlando potreste fare un po di prove con il simulatore di DSLR (macchina fotografica digitale) messo a disposizione da CameraSim, che ringrazio, presente qui sotto.



Para ver a publicação original clique aqui.

No final da pagina existe um simulador de fotografia bem interessante!

Abraços.


terça-feira, 5 de junho de 2012

Concepts de HUD do Homen de Ferro

Mais do que simplesmente desenhar qualquer coisa que pareça tecnológica na tela, quem cria as interfaces computacionais em filmes tenta representar uma época ou prever tendências de futuro. Com o passar dos anos, o trabalho se tornou mais complicado.


O acesso a tecnologia de todo tipo e tamanho foi democratizado, e torná-la verossímil nas telas de cinema requer muito mais que mero exercício de futurologia. É preciso parecer incrível, mas sempre perto do possível. É exatamente isso o que fez o designer de motion graphics Jayse Hansen para a Marvel, nos filmes do “Homem de Ferro” e “Os Vingadores”. Ele foi o responsável por criar os elementos e animações do visor do Mark VII, construído por Tony Stark. Hansen explorou anéis que se dividem em diversos pedaços de informação – sempre numa paleta de preto e cinza, com vermelhos, laranjas e azuis – tudo como se fosse controlado pelos olhos. Junto com o estúdio Cantina Creative, Jayse Hansen desenhou também as telas de vidro touch da Helicarrier de “os Vingadores”, depois de estudos painéis e instrumentos de caças A-10. O trabalho chega ao detalhe de possuir diferentes “modos” de tela, alterando os elementos caso a nave esteja parada, em batalha ou avariada. Além do velho e bom rascunho no papel, o trabalho do designer segue o fluxo de Illustrator, After Effects e Cinema 4D. Além das várias imagens nesse post, você pode ver outras em tamanho ampliado no portfolio de Hansen.


Hansen explorou anéis que se dividem em diversos pedaços de informação – sempre numa paleta de preto e cinza, com vermelhos, laranjas e azuis – tudo como se fosse controlado pelos olhos.
Junto com o estúdio Cantina Creative, Jayse Hansen desenhou também as telas de vidro touch da Helicarrier de “os Vingadores”, depois de estudos painéis e instrumentos de caças A-10. O trabalho chega ao detalhe de possuir diferentes “modos” de tela, alterando os elementos caso a nave esteja parada, em batalha ou avariada.

Além do velho e bom rascunho no papel, o trabalho do designer segue o fluxo de Illustrator, After Effects e Cinema 4D. Além das várias imagens nesse post, você pode ver outras em tamanho ampliado no portfolio de Hansen.

  



 Fonte: Brainstorm9
Abraços.